MONOCROMI ESTROFLESSI

SERGIO CAVALLERIN TRA POP ART E CONCETTUALISMO

di Giorgio Bonomi

  • Come molti artisti, Cavallerin opera per “cicli” o “temi”: accanto alle sue “disseminazioni” di immagini ( i Polimeri) abbiamo le icone prelevate dalla fumettistica1, e quelle “fantastiche”, ed anche le illustrazioni, sia per l’infanzia che per adulti, o immagini più tradizionali. Si badi, non si tratta di eclettismo indistinto, infatti Cavallerin lavora con rigore e con alcuni punti fermi: la manualità nel disegno e nell’esecuzione dell’opera, la ricerca sperimentale, l’ironia sempre presente nei suoi contenuti, il concettualismo che lo rende artista contemporaneo e impedisce ogni fraintendimento; si tratta di un concettualismo basato sull’unità degli opposti. Quegli “opposti” (pace/guerra, odio/amore, pieno/vuoto, movimento/stasi eccetera) che già Eraclito, nell’antica Grecia, pensava essere il fondamento della realtà, dato che un elemento non esiste senza l’altro (concetto poi ripreso dalla dialettica hegeliana), quegli opposti cioè che nel Nostro appaiono come realtà e gioco, figurazione e astrazione, originalità e immagine comune e così via. In più, nella poetica di questo artista c’è un aspetto che va sottolineato, quello cioè di legarsi alla storia dell’arte contemporanea senza mistificazioni o nascondimenti, al contrario le sue fonti sono evidenti, essendo esplicitamente e consapevolmente mostrate. In alcune serie di lavori il richiamo iconografico è il disegno dei cartoon, nei polimeri ed altri lavori si evidenzia un richiamo alla Pop art. Cavallerin così riconosce che la storia dell’arte è come una “grande catena”2 per cui ogni artista si lega a uno o più artisti precedenti o, detto in altro modo, ogni artista ha padri e madri, ma, pur avendo un DNA simile, poi ognuno sviluppa la propria personalità. Dopo questa sorta di introduzione, veniamo ora alla serie di opere più recente che qui presentiamo. Si tratta delle “superficidinamiche” che, pur rientrando nello sviluppo di serie precedenti, per molti aspetti, sebbene senza rinnegamenti, se ne distaccano. Esaminiamo subito le caratteristiche più evidenti di queste nuove opere: la prima è “l’estroflessione”, cioè la superficie del quadro non è piana ma presenta delle parti aggettanti ed altre rientranti, cioè estroflesse ed introflesse. Nell’arte contemporanea troviamo l’estroflessione per la prima volta in un’opera di Alberto Burri (Gobbo, 1950) dove, dietro la tela, l’artista umbro mise un ramo così da rigonfiare la superficie; in seguito Burri realizzò altri Gobbi, ma con aste di ferro poste dietro il telaio. Dopo qualche anno, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, ed anche altri, fanno dell’estroflessione la cifra delle loro poetiche: più minimalista, geometrica, lineare, “fredda” quella del primo, mentre più “calda”, quasi barocca nelle linee curve e nei rigonfiamenti quella dell’altro. Inoltre, la monocromia quasi assoluta è un’altra caratteristica dei due artisti appena citati3. In Cavallerin l’estro/ e l’intro/ flessione sono funzionali al “disegno” dell’opera: con questa tecnica, infatti, dà alla figura “corpo”, luce ed ombra, rilievo e movimento; l’assoluta monocromaticità poi rende “surreale”, “metafisica” la rappresentazione. Non è un caso che tutte queste opere, al di là del titolo specifico di ognuna, rientrino nella serie appunto chiamata superficidinamiche, infatti la tela ha in sé ritmo, ondulazioni, movimento, finanche “guizzi”, cioè è “dinamica”. La maggior parte delle icone di questa serie appartengono al campo dei fumetti: da Mickey Mouse a Batman, a Spider-Man. Allo stesso tempo – e qui è più marcata l’eco della Pop art – abbiamo altre opere che rappresentano una parola, come Bang, oppure il logo della Nike (Sportswear), ed c’è anche un omaggio al Made in Italy, raffigurato con la forma geografica dell’Italia. Forte è, in tutte le opere, la carica ironica, tanto nei titoli quanto nelle rappresentazioni, ma, si ricordi, l’ironia è una forza carica di concettualità e di “serietà”, non è un puro gioco né tanto meno uno “sberleffo” – e, a proposito dell’Italia, possiamo ricordare icone simili in Luciano Fabro o in Maurizio Cattelan. Nei polimeri – serie Dov’è… – l’ironia è, per così dire, più “complessa” o, meglio, “composta” (da vari elementi), qui abbiamo una pluralità di soggetti, tutti uguali e numerosi, ripetuti in piccole misure sulla superficie, tra i quali appare, più correttamente “va cercata”, un’altra figura che riempie di senso l’opera: ad esempio in una miriade di bandiere di tutto il mondo si nasconde quella italiana, o tra svariate piccole falci appare un piccolo martello, i titoli poi completano tutto il lavoro caricandolo del loro significato più profondo, Dov’è l’Italia, Dov’è il martello. Ora, in questa serie più recente, l’immagine è più secca, forse più “imponente”, a volte “suntuosa”, senza però perdere l’ironia e il senso di “spiazzamento” che l’arte sempre provoca. La monocromia, che Malevič insegnò avere una grande forza dietro la sua apparente semplicità, dà un tono”forte”, diremmo “virile”, al quadro. L’opera, è doveroso rimarcarlo, si qualifica pure per l’abilità tecnica, manuale, che Cavallerin dimostra. Osservando il retro del telaio, vediamo che c’è un’elaborazione complessa, realizzata con pezzi di legno che permettono l’estro/ e l’intro/ flessione; al contempo la tela è dipinta con una tecnica che le dà un effetto “lucido”, “plastico”, nel senso di “materiale plastico”, sebbene proprio le estroflessioni creino un effetto “plastico” nel senso di “scultoreo”. Or dunque, Cavallerin, alle soglie della maturità anagrafica, pare aver raggiunto anche un’ulteriore maturità artistica – questa, ogni artista la cerca e, per fortuna, le si “avvicina” soltanto, altrimenti, raggiunta la “perfezione”, non opererebbe più –, infatti, come abbiamo accennato sopra, ora la composizione è più “calma”, “sicura”, non necessita della “ripetizione differente” bensì si offre con tutta la sua determinazione, la sua ironia, la sua continuità con la storia artistica (personale e universale) in un’atmosfera al di sopra delle contingenze del mondo ma pure con un alone di inquietudine, dato che le cose del mondo sono sempre “ambigue” ( nel senso concettuale) e non definite una volta per tutte e per tutti.


    1 Ricordiamo che Sergio Cavallerin è anche uno dei principali operatori commerciali nel campo dell’editoria, italiana e straniera, dei fumetti.
    2 Riprendiamo questo concetto, in un altro contesto, dal titolo di un famoso libro di filosofia, La grande catena dell’Essere, di Arthur O. Lovejoy, tr. it. Feltrinelli editore, Milano 1966.
    3 Cfr. il nostro Oltre la superficie. Attraversamento, estroflessione, disseminazione, catalogo della mostra omonima, Perugia, CERP, 14 luglio – 2 settembre 2011, Benucci Editore.

ARTE A PALAZZO

di Azzurra Immediato

  • [In un'epoca in cui una] realtà-non realtà avvolge l'individuo tuttavia distante, velocizzata rallentata ripetuta anticipata posticipata, senza coinvolgerlo veramente. Le parole usate da Agostino Bonalumi, in un più ampio testo considerato l'ultimo scritto concettuale dell' artista scomparso nel 2013, mostrano quanto Egli lamentasse una epocale impossibilità esperienziale, in ambito artistico, che non rivendicava più quello che era stato il principio fondante la propria ricerca, ossia, l'oggettualità sull' arte come esperienza, sulla pittura/oggetto nel solco di una nuova identità affidata alla tela, spazio da intendersi come rinnovato luogo da altri confini, in accordo con le sperimentazioni e le ricerche di Enrico Castellani. In tale linea pare convergere l'artista Sergio Cavallerin il quale fa gradito ritorno a Bologna, in occasione della collettiva Arte a Palazzo - Premio Galleria Farini per Londra, con un'opera titolata Dynamicemera, una estroflessione su tela realizzata nel 2017. Opera diversa da quella che il lettore ricorderà dalla mostra della scorsa primavera, un dipinto dalle reminiscenze Pop. Per XXIII Collettiva Internazionale indetta dalla galleria Farini Concept, Cavallerin presenta un lavoro realizzato, invece, secondo quella tecnica che ha, inoltre, una forte carica espressiva e grammaticale nell'ambito della costruzione fenomenica e del rapporto che si attua con lo spazio reale, in una subordinazione che continuamente si confonde. Dynamicemera attua una trasfigurazione di icona classica che, tuttavia, dal ritratto su tela è pronta ad emergere, ad invadere lo spazio di fruizione, in maniera fisica e, a tratti, perturbante - complice il color argento scelto quale monocromia baluginante -. La deformazione che Cavallerin sceglie di adottare è, di fatto, un plasmare la materia, dando forma ad una geometria umanizzata, antropomorfologia che tende, riuscendovi, di superare il mero piano rappresentativo ma secondo una scala di valori che è rigore, metodologico avanzare nello spazio noto della tela. Dynamicemera evolve un linguaggio che affonda le radici nella figurazione classica, in primis di matrice scultorea e poi pittorica; come sempre accade nella dimensione profondamente legata all' ironia intellettuale, Sergio Cavallerin, anche in questo caso, rompe gli schemi. Ancora Bonalumi asseriva: "Tuttavia l'opera d'arte sarà tanto più significante quanto più, nel suo sistemarsi e farsi ricerca ordinata, riuscirà ad essere accumulazione di dubbio." Rebus ontologico che non si sposta, nel caso di Cavallerin, da quella sottile linea di gioco che toglie seriosa polvere all'arte per farne nuova alterata superficie concettuale, medium per aprire un dialogo con l'osservatore in una indagine dalle plurime soluzioni, proprio come accade per la tela che, in questo caso, assume una inusitata dinamicità. L'abbecedario tipico dell'estroflessione su tela, assume tutto l'aspetto di una illusione ottica cinetica, in cui la percezione retinica si scontra con i giochi di luci ed ombre, pieni e vuoti generati dalla superficie. Nulla avviene, però, a caso, già che a tale dinamica sottosta, come ben si evince dalla figura finale di Dynamicemera, una complessa trama di chiaroscuri e geometrie basata su un attento e rigoroso studio di un disegno precipuo e che si rivela, ex post, imprescindibile è non esercizio di stile. Ancora una volta, Sergio Cavallerin lavora secondo una idea maieutica che missa e compenetra una interpretazione profondamente soggettiva con una oggettualità che non è discutibile, non è interpretabile oltre il visibile che è tangibilità di una realtà, seppur trasformata.

About Superficidinamiche

di Giulia Naspi

  • Prendi la cultura pop con tutte le sue immagini accattivanti, i suoi simboli, e i suoi marchi (o brand come si direbbe adesso), ognuno figlio di un momento ben preciso dell’era capitalista e consumistica che stiamo ancora vivendo, e uniscila con gli esperimenti spaziali degli anni Sessanta dell’arte italiana. Le Superficidinamiche di Sergio Cavallerin sono tutto questo e vanno anche oltre. Nelle superfici concave e convesse riconosciamo simboli a noi molto familiari perché facenti parte della nostra cultura moderna, della nostra esistenza quotidiana, sia essa fisica che virtuale: il simbolo della Nike, la “F” di Facebook, Topolino, Darth Vader, ma anche il pensatore di Rodin, opera scultorea assurta al livello di icona. Queste si possono definire iconografie del nostro tempo, figure che dagli anni Sessanta del secolo scorso si sono prepotentemente imposte tra i soggetti più tradizionali dell’arte contemporanea, e che Sergio Cavallerin unisce a un nuovo modo di pensare lo spazio in arte, le cui radici affondano nello spazialismo di Fontana fino a trionfare con le estroflessioni di Enrico Castellani e Agostino Bonalumi. Torniamo quindi sempre al sesto decennio del secolo scorso, quando questi due artisti molto vicini a Piero Manzoni, cominciano ad indagare nuove frontiere dello spazio pittorico, tagliando, dipingendo, tendendo tele, e utilizzando i classici materiali della pittura tradizionale, ma in maniera diversa da chi già in precedenza aveva indagato nuove modalità nella resa della tridimensionalità, come Picasso, o dallo spazialismo italiano. Lo spazio creato da un’estroflessione non è più quello delimitato dalla cornice, che eppure c’è, ma la troviamo come finestra dalla quale il soggetto si affaccia e diventa luogo esso stesso, non ci invade, ma ci accompagna come le chiacchiere scambiate tra vicini affacciati al balcone. Il colore, la tela, i chiodi, diventano luoghi, oggetti tattili e di conseguenza reali, a metà tra pittura e scultura dove anche la rigorosa monocromia si fa scultorea e la bidimensionalità diventa tridimensionalità. Sergio Cavallerin non le chiama però estroflessioni, ma le sue superfici sono “dinamiche” perché se la superficie aggettante di un Bonalumi si flette verso lo spettatore, la ricerca dell’artista perugino si concentra maggiormente sul sofisticato sistema che si nasconde sotto ogni concavità fermata dai chiodi e sapientemente dipinta. Grazie ad un’abilissima capacità artigiana Sergio crea dei veri e propri organismi viventi che tentano di interagire con noi, di vivere il nostro spazio cercando di farne parte, e che devono il loro dinamismo e il loro “essere vive” alla luce che accarezza le loro superfici increspate, grazie alla quale i monocromi lucenti diventano mutevoli, quasi da far sembrare la materia pittorica più simile ai materiali industriali come la plastica fusa, l’acciaio, il metallo. Con le Superficidinamiche di Cavallerin siamo di fronte ad uno dei più alti esperimenti di creazione della dimensione spazio-tempo che parte dalle ricerche dell’immediato dopo guerra portandole ad un livello che supera ogni criterio precedente e riflette sull’importanza della tecnica artigiana nell’epoca della virtualità.